LA STORIA DI LUIGI E PIETRO PAGLIERO
LA STORIA DI LUIGI E PIETRO PAGLIERO
Luigi, detto Gino, era nato a San Maurizio Canavese il 22 dicembre 1917; suo fratello Pietro, chiamato familiarmente Piero, il 24 settembre 1919.
Erano figli di una famiglia numerosa, che gestiva l'attività della Trattoria delle Alpi.
Purtroppo Federico, il loro generoso papà - che era una persona simpatica, amante della musica e spesso allietava i clienti della trattoria con il suo mandolino napoletano - prestò parecchi soldi a un commerciante in difficoltà e firmò dei documenti che lo coinvolsero nel fallimento e portarono alla rovina della famiglia.
A causa di quell'atto di disinteressata solidarietà, mamma Giovanna fu costretta a vendere la Trattoria delle Alpi e, con quel poco che rimase, lei e il marito, facendo grandi sacrifici, decisero di cominciare a costruire una casa in zona Madonna della Neve. Proprio qui vicino.
Quegli anni furono molto duri per la famiglia Pagliero.
In quel periodo Piero e la sorella più piccola Emma frequentavano la scuola.
Il fratello più grande Oreste aveva cominciato il lungo servizio militare a Piacenza e, quindi, fu soprattutto il quattordicenne Gino, ormai in età da lavoro, che contribuì direttamente all'edificazione della casa. Infatti,era stato assunto come garzone dall'impresa che la costruiva e lavorava senza percepire paga, perché il suo stipendio veniva scalato periodicamente dal debito.
A peggiorare le cose contribuì la scomparsa prematura del padre, travolto dai dispiaceri a soli 53 anni.
La sua morte aveva lasciato un vuoto non facilmente colmabile; ma la tempra del gruppo era forte e alle nuove avversità seppe reagire.
Intanto i due fratelli crescevano e, come tutti i giovani della loro età, amavano ballare e giocare a pallone.
Tuttavia, data la situazione, i due ragazzi non avevano denaro da sprecare nel tempo libero. Era assai difficile incontrarli nei caffé, così come abbastanza rari erano gli altri svaghi che si concedevano.
Perciò fu un avvenimento straordinario per entrambi l'annuale festa dei coscritti, nel 1937, che preannunciò l'imminente chiamata alle armi.
Infatti, nel giugno 1938, Gino venne assegnato al Genio Ferrovieri.
Poi, in seguito alla scellerata politica imperialista del Fascismo, il 10 giugno 1940 l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania nazista.
Il Reggimento di Gino fu adibito a lavoro di ricostruzione di tratti ferroviari e ponti distrutti sul fronte italo-francese.
A partire dall'ottobre, quando Mussolini decise di aggredire la Grecia, Gino venne
trasferito sul fronte albanese-greco.
Causa l'asprezza della guerra e, soprattutto le penose condizioni di vita dei militari italiani mandati allo sbaraglio e stremati dalla fame, Gino, allevato come tutti i giovani di quel tempo, nella retorica militaristica fascista della Patria invincibile, cominciò a costruirsi un'idea diversa e più critica del regime mussoliniano.
Anche Piero, nel 1940, era partito militare assai malvolentieri, inquadrato nella Guardia alle Frontiera (G.a.F.), IX settore.
Dopo essere stato per un certo tempo a Rivoli, fu trasferito, dapprima a Lanzo e, infine, a Cuorgnè.
Piero, quindi risultò più fortunato del fratello, perché rimase sempre nelle vicinanze di casa e, almeno ciò, avrà reso più sopportabile la dolorosa situazione a mamma Giovanna, privata di tutti i figli, in quanto anche Oreste era stato richiamato.
In quel periodo, dunque, la situazione economica in casa Pagliero risultò decisamente drammatica.
Poi venne 1'8 settembre 1943.
Gli Alleati annunciarono la firma dell'Armistizio con l'Italia.
Il re Vittorio Emanuele III e il Governo abbandonarono Roma e si rifugiarono a Brindisi.
I reparti del Regio Esercito, lasciati senza ordini precisi, si sfaldarono.
L'ira dell'ex alleato nazista, che si sentiva tradito, non si fece attendere e iniziò il disarmo, la cattura e l'internamento dei militari italiani.
Piero, in quella data fatidica, si trovava al vicino Poligono Militare sulla Vauda e riuscì a rientrare abbastanza agevolmente e insieme a Oreste si rifugiò in montagna, nella zona di Cantoira, per sfuggire alla cattura.
Dopo alcuni giorni furono raggiunti da Gino, rientrato fortunosamente dal lontano Montenegro.
I fratelli Pagliero entrarono in contatto con esponenti delle prime bande partigiane e si schierarono contro i nazifascisti.
Gino, in particolare, prese accordi con i partigiani insediati nella zona tra Corio e Forno Rivara, il cui raggio d'azione gravitava nell'area di bassa valle ove si trovava anche San Maurizio Canavese.
Per la vasta pratica accumulata nel lungo periodo militare gli fu affidato l'importantissimo compito di provvedere al vettovagliamento del gruppo comandato da Claudio Borello, detto "Moro".
Il fratello Piero, invece, aveva assunto il nome di battaglia "Venere" e combatteva sui monti di Corio nelle fila della 18a Brigata Garibaldi.
Nel settembre 1944 questi partigiani si trovarono attaccati da ingentissime e armatissime truppe nazifasciste, che li costrinsero a ritirarsi attraverso i ghiacciai delle Alpi Graie, fino in Francia.
Quando Piero ritornò a casa aderì pure lui alla Brigata "Moro" e in quel periodo il Distaccamento di San Maurizio Canavese si rafforzò notevolmente, arrivando a contare ben 34 effettivi.
Inoltre il gruppo partigiano aveva in dotazione anche un proprio piccolo arsenale, sotterrato nel giardino di casa Pagliero, composto da due mitragliatrici americane diversi parabellum, mitra e moschetti.
Nel frattempo, il paese era stato occupato dal Battaglione paracadutisti "Nembo" del Reggimento "Folgore", forte di circa 200 uomini.
I parà fascisti stabilirono il Comando presso la Casa Littoria, invece il vicino edificio scolastico di via Bò diventò la loro caserma-prigione.
Una serie di fatalità e il concorso attivo di Angela Mangiarino, detta "Mirella" — nota collaborazionista e spia dei fascisti —, portarono all'arresto prima dei comandanti "Doro" ed "Emilio" e poi a quello dei Pagliero (nel cui giardino i fascisti, su precise indicazioni, trovarono le armi) e di quasi tutti gli altri componenti del Distaccamento.
Alle scuole Gino e Venere subirono ripetuti "interrogatori" a base di violenze e torture, tra cui la bruciatura dei piedi, ma resistettero stoicamente e non coinvolsero altri amici di lotta né rivelarono ai fascisti altre notizie sul Distaccamento e sui collegamenti con l'attività partigiana.
Anzi Gino, trovò la forza di incitare i compagni a resistere e a continuare la lotta per conquistare la libertà.
Gli estremi tentativi dei familiari e di Emma, in particolare, per liberarli, furono vani e alle 7,20 del 29 dicembre 1944 vennero fucilati nel prato antistante la Chiesa Vecchia di S. Maurizio Canavese.
Gino e Venere non poterono neppure scrivere un'ultima lettera alla loro povera mamma Giovanna e ai familiari.
Il 17 dicembre di 20 anni fa al sacrificio e alla memoria di Luigi e Pietro Pagliero é stata intitolata la scuola elementare di San Maurizio Canavese.
Presso "Le PERSON dij PARTIGIAN", in Via Lodovico Bò a San Maurizio Canavese é esposta la mostra “GINO” e “VENERE” - La comunità, la famiglia, la Resistenza, che racconta la loro storia.
Sintesi di Franco Brunetta
Rinaldo Audagnotto
Nel settembre 1944 Rinaldo Audagnotto era un semplice cittadino, padre di un bambino, che lavorava come operaio alla vicina Saiag, una ditta specializzata nel settore della produzione di articoli in gomma.
Non era un partigiano e non costituiva certo un pericolo per i nazifascisti.
Quel giorno, 11 settembre 1944, festa patronale della frazione Ceretta, era in atto un intenso rastrellamento sulla direttrice Caselle - Ciriè nella zona a ridosso del torrente Stura.
Rinaldo, come tutti gli uomini delle varie borgate, cercò di sottrarsi a un eventuale fermo da parte dei militi "repubblichini", nel timore di essere trattenuto come ostaggio e internato in Germania.
Sfortuna volle che i fascisti lo scorsero mentre fuggiva tra i campi a Ceretta, in regione "Audagnotti", al confine con Cirié.
Venne ferito mortalmente da una fucilata sparata da un milite delle brigate nere.
Fu soccorso dalle generose donne della borgata, che, a fronte del disinteresse dei militi repubblicani, cercarono di salvarlo correndo esse stesse gravi rischi.
Alla fine lo trasportarono su un carro agricolo all'ospedale di Cirié.
Purtroppo tutto fu vano e Rinaldo, marito premuroso e padre affettuoso, morì nella notte per collasso cardiocircolatorio.
A partire dal 25 aprile 1995 un cippo ne ricorda il sacrificio, mentre la drammatica vicenda é ricostruita fedelmente nel film "La festa dell'Addolorata".
(f.b.)
Le vittime del bombardamento aereo del 21 luglio 1944
Il 21 luglio 1944, a S. Maurizio Canavese, la morte scese dal cielo.
A circa 5 mesi di distanza dal terribile eccidio di tre civili innocenti in piazza del municipio, il paese venne nuovamente e ancor più duramente colpito.
Le bombe tedesche fecero ben cinque vittime tra la popolazione terrorizzata: Barbiso Giovanni di anni 54 di S. Francesco al Campo, Ferrero Giulia in Martinetto di anni 77, Gillio Vincenzo di anni 39, che protesse col corpo sua figlia Maria, e, infine, Maffei Lucia in Dolce di anni 30 e sua figlia Dolce Caterina, una fanciulla di appena 9 anni.
I loro corpi vennero ritrovati sotto le macerie della casa abbracciati fortemente l'uno all'altro.
Perché accadde questa tragedia?
Come dice la scritta sulle lapidi, che, in via Remmert ai civici 16 e 47, ricordano le persone uccise, si trattò di un bombardamento per rappresaglia.
In pratica fu un gesto di spietata vendetta, compiuto dai nazisti in spregio a qualsiasi convenzione di guerra e, soprattutto, senza una plausibile motivazione, se non quella di punire l'intera popolazione di San Maurizio Canavese , rea - ai loro occhi - di essere vicina al luogo dove un ufficiale germanico era stato ucciso in uno scontro con alcuni partigiani.
Solo per questo - secondo la logica degli occupanti tedeschi - la comunità sanmauriziese fu ritenuta complice dei "ribelli" e, dunque, meritevole di essere esemplarmente punita.
(f.b.)