Bruno Tuscano

Bruno Tuscano

 

Nasce il 20 marzo 1920 a Palizzi Marina, in provincia di Reggio Calabria.
Dopo gli studi magistrali, frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso l'Università di Messina.
Appassionato di teatro e di fotografia, si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Chiamato alle armi nel 1942, partecipa al Corso Allievi Ufficiali di Complemento a Ceva, ma non riesce a completarlo a causa di una frattura.
Promosso sergente, diventa istruttore a Fossano.
All'8 settembre 1943, nel piacentino, è preso prigioniero dai tedeschi, ma riesce a fuggire prima di essere internato in Germania e si rifugia a Ceva, dove beneficia della solidarietà di alcune famiglie con cui aveva stretto amicizia in precedenza.
L' unico desiderio di Bruno è quello di poter riabbracciare gli adorati genitori, così, quando nel dicembre '43 apprende che il nuovo prefetto di Cuneo è Paolo Quarantotto, conosciuto in epoca giovanile, abbandona il rifugio cebano e affida la sua sorte all'ex federale di Reggio Calabria, che lo impiega presso la federazione repubblicana cuneese.
Tuscano non tarda a capire di aver fatto una scelta sbagliata e si adopera ad aiutare segretamente i partigiani cebani.
A giugno 1944, quando sta per essere scoperto, aiutato dalla famiglia Alessi abbandona Cuneo, portandosi dietro importanti carte della federazione fascista ed entra volontario nelle file partigiane della 2a Divisione "Garibaldi" in Val di Lanzo.
Nell’estate del 1944 partecipa a importanti azioni di guerriglia a Ceresole Reale e al Col della Crocetta.
Per l'ardimento dimostrato viene nominato dapprima Ufficiale istruttore, poi Capo di Stato Maggiore della 20a Brigata intitolata a Paolo Braccini, continuando a dar prova delle migliori virtù di comandante e di combattente partigiano.
Sopravvenuti i forti rastrellamenti del settembre '44 si reca in Francia alla testa dei suoi uomini, e in tutta quella dolorosa vicenda sa rincuorare i compagni, che da lunghi giorni affrontano i più duri disagi.
Rientrato in Italia, nell’ottobre 1944 – seguendo i suoi ideali - si adopera alla costituzione della Colonna Giustizia e Libertà "Renzo Giua", l’unica formazione di matrice azionista presente nelle Valli di Lanzo e dislocata in Val Grande.
Sotto la sua guida, il piccolo gruppo partigiano, stimato e benvoluto dalla popolazione, contribuisce alla difesa della Valle e organizza alcune missioni in Francia presso il Comando Alleato a Val d'Isére.
Purtroppo, nel corso di un altro pesante rastrellamento nazifascista avvenuto nel gennaio 1945, buona parte della Colonna G.L. comandata dal tenente Tuscano viene catturata nei pressi di Vonzo, una frazione di Chialamberto, dai parà del Battaglione "Nembo" di stanza a S. Maurizio Canavese.
Il tenente Bruno si assume ogni responsabilità, scagionando i propri compagni, che patiscono il carcere e qualcuno anche il campo di concentramento, ma si salvano tutti grazie all’impagabile gesto del loro comandante.
Per lui, invece, non c’è scampo.
I paracadutisti “repubblichini” lo processano e lo condannano alla fucilazione.
Il 24 gennaio 1945 Bruno, dopo aver scritto una commovente lettera agli adorati genitori, muore da eroe presso il cimitero, gridando “Viva l’Italia libera !”.
Nel 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lo ha insignito della Medaglia d’Oro al Valor Civile alla memoria.
La storia di Bruno e quella dei suoi compagni é raccontata nel libro: I ragazzi che volarono l'aquilone. Indagine su una formazione partigiana, Araba Fenice edizioni, Boves (CN).

(Note biografiche a cura di Franco Brunetta)

 

S. Maurizio 24 - 1 - 45 ore 15

Adorati genitori.
Quando leggerete la presente io non sarò più.
Un'ineluttabile fato mi vieta di rivedervi e riabbracciarvi prima di morire : questo era il mio più grande desiderio prima di morire.
Non tremo davanti alla morte, in queste ultime ore pregherò per voi come sempre ho fatto.
Vi conforti il pensiero del figlio per cui vi sacrificaste tanto e che mai è venuto meno ai suoi doveri di uomo onesto.
Vi giuro davanti a Dio che mai ho compiuto un assassinio ed ho agito, più che mi è stato possibile , nella rettitudine del cittadino, nell'onestà del lavoratore.
Ho aiutato quanti ho potuto .
Dio sia buono con voi eletti genitori.
Non vi potrò dare l'aiuto che ambivo ora che potevo cominciare a lavorare con voi.
Dall'alto pregherò per voi , per te adorata santa mamma , per te , babbo che vecchio e inabile al lavoro sovente hai guardato in me colui che sarebbe stato il tuo aiuto e la consolazione per la tua vecchiaia.
Rendo Dio testimone di quanto ho detto in queste ultime ore della mia vita.
Non imprecate contro gli uomini.
Errare è umano.
Il fato ha così voluto.
Vi abbraccio

figlio Bruno

 

La-lapide-dedicata-ai-fratelli-Pagliero-e-a-Bruno-Tuscano- Foto-di-Franco-Brunetta

San Maurizio Canavese - La lapide alla Chiesa Vecchia che ricorda il sacrificio di Bruno Tuscano

e dei fratelli Luigi e Pietro Pagliero (Foto di Franco Brunetta)

TEODORO DESTEFANIS FUCILATO A COLLEGNO

TEODORO DESTEFANIS

FUCILATO A COLLEGNO

 

Destefanis Teodoro

 

Teodoro Destefanis era nato a Barbania il 3 maggio 1922, ma risiedeva a San Maurizio.

Salì in montagna, a Corio - Pian Audi, nel marzo 1944 col nome di battaglia "Doro".

Nei mesi successivi fu nominato comandante di distaccamento della Brigata "Moro", facente parte della IV Divisione Garibaldi.

In particolare, insieme al vice Emilio Garbolino, si occupava del Distaccamento di San Maurizio Canavese, che nel periodo autunnale 1944 si rafforzò notevolmente, arrivando a contare ben 34 effettivi.

Inoltre il gruppo partigiano aveva in dotazione anche un proprio piccolo arsenale, sotterrato nel giardino di casa Pagliero, composto da due mitragliatrici americane diversi parabellum, mitra e moschetti.

Nel frattempo, il paese era stato occupato dal Battaglione paracadutisti "Nembo" del Reggimento "Folgore", forte di circa 200 uomini.

I parà fascisti stabilirono il Comando presso la Casa Littoria, invece il vicino edificio scolastico di via Bò diventò la loro caserma-prigione.

Una serie di fatalità e il concorso attivo di Angela Mangiarino, detta "Mirella" — nota collaborazionista e spia dei fascisti —, portarono all'arresto il 26 dicembre prima dei comandanti "Doro" ed "Emilio" e poi a quello dei fratelli Pagliero (nel cui giardino i fascisti, su precise indicazioni, trovarono le armi) e di quasi tutti gli altri componenti del Distaccamento.

Alle scuole Teodoro ed Emilio furono "interrogati", imprigionati nel sottotetto e lì attesero la loro sorte.

Il 2 gennaio 1945, per rappresaglia all'uccisione di un soldato germanico a Collegno, furono consegnati ai tedeschi insieme a Michelino Quaranta, Amalio Perrero e Maurizio Spago.

Vennero portarono sul luogo dell'attentato, bendati e fucilati, uno alla volta.

Lì, in corso Francia 113, c’è un cippo con lapide che ricorda la loro “colpa”: quella di aver tanto amato la patria e la libertà.

                                                                                                                                                           f.b.

MICHELINO QUARANTA FUCILATO A COLLEGNO

MICHELINO QUARANTA

FUCILATO A COLLEGNO

 

Quaranta Michelino

 

Michelino Quaranta era nato a San Maurizio il 1° settembre 1921.

"Michele il biondo" faceva parte di una formazione partigiana garibaldina di bassa valle comandata da Fino Vaudagna, che operava nella zona di Caselle e Malanghero, collegata alla 19a Divisione guidata da Rolandino.

Per sfuggire alle perquisizioni dei nazifascisti, con il fratello Mario aveva scavato un rifugio ai bordi del cortile di casa, mentre per proteggere le tre pistole che detenevano scavarono una botola sotto le gabbie dei conigli.

“Quei rifugi – ricordava Mario – ci servirono fino al terribile giorno del 26 dicembre 1944.

Era stato emesso un “bando” della Repubblica di Salò, per amnistiare i clandestini per il rilascio della tessera annonaria. Questo significava lavoro e la sicurezza di avere il pane.

Mentre Michele si recava in Comune a San Maurizio Canavese a presentarsi, fu riconosciuto per strada dalla “Mirella”.

Lei abitava a Ceretta e ci conosceva molto bene. Sapeva dei trascorsi di mio fratello nelle file partigiane e andò subito a denunciarlo ai fascisti della “Nembo”.

Questi lo arrestarono e lo condussero nelle scuole elementari trasformate in caserma e prigione.

Io non lo vidi più.

Nostra madre andò davanti alle scuole e rimase lì, insieme a molta altra gente che si era radunata per conoscere la sorte degli arrestati.

Infatti, oltre a Michelino c’erano anche Martinetto, Destefanis e Garbolino. La mamma riuscì a intravvederlo solo perché lui si era avvicinato a una finestra. Mentre io ero fuggito a Sstura, i fascisti vennero a perquisire la nostra casa e andarono sicuri verso la botola sotto la conigliera.

Lì trovarono le tre pistole.

Inoltre saccheggiarono la casa, sequestrando documenti e fotografie.

Secondo le regole fasciste, la nostra povera casa doveva essere bruciata, perché aveva ospitato dei partigiani, ma per fortuna, questo non avvenne, in quanto dividevamo la proprietà con una persona anziana”.

Michelino subì la stessa sorte di Destefanis, Garbolino, Perrero e Spago.

Il 2 gennaio 1945 i parà del "Nembo" li consegnarono ai tedeschi, che dovevano vendicare l'uccisione di un soldato germanico a Collegno.

Vennero trasportati sul luogo dell'attentato, bendati e fucilati, uno alla volta.

Lì, in corso Francia 113, c’è un cippo con lapide che ricorda la loro “colpa”: quella di aver tanto amato la patria e la libertà.

f.b.

EMILIO GARBOLINO FUCILATO A COLLEGNO

EMILIO GARBOLINO

FUCILATO A COLLEGNO

 

Garbolino Emilio

 

Emilio Garbolino era nato a Cirié il 23 agosto 1922, ma risiedeva a San Maurizio.

Caporale dell'esercito, salì in montagna, a Corio - Pian Audi, nel gennaio 1944 inquadrato nel battaglione "Monzani".

Nei mesi successivi fu nominato vicecomandante di distaccamento della Brigata "Moro", facente parte della IV Divisione Garibaldi.

In particolare, insieme a Teodoro Destefanis, si occupava del Distaccamento di San Maurizio Canavese, che nel periodo autunnale 1944 si rafforzò notevolmente, arrivando a contare ben 34 effettivi.

Inoltre il gruppo partigiano aveva in dotazione anche un proprio piccolo arsenale, sotterrato nel giardino di casa Pagliero, composto da due mitragliatrici americane diversi parabellum, mitra e moschetti.

Nel frattempo, il paese era stato occupato dal Battaglione paracadutisti "Nembo" del Reggimento "Folgore", forte di circa 200 uomini.

I parà fascisti stabilirono il Comando presso la Casa Littoria, invece il vicino edificio scolastico di via Bò diventò la loro caserma-prigione.

Una serie di fatalità e il concorso attivo di Angela Mangiarino, detta "Mirella" — nota collaborazionista e spia dei fascisti —, portarono all'arresto il 26 dicembre prima dei comandanti "Doro" ed "Emilio" e poi a quello dei fratelli Pagliero (nel cui giardino i fascisti, su precise indicazioni, trovarono le armi) e di quasi tutti gli altri componenti del Distaccamento.

Alle scuole Emilio e Teodoro furono "interrogati", imprigionati nel sottotetto e lì attesero la loro sorte.

Il 2 gennaio 1945, per rappresaglia all'uccisione di un soldato germanico a Collegno, furono consegnati ai tedeschi insieme a Michelino Quaranta, Amalio Perrero e Maurizio Spago.

Vennero trasportati sul luogo dell'attentato, bendati e fucilati, uno alla volta.

Lì, in corso Francia 113, c’è un cippo con lapide che ricorda la loro “colpa”: quella di aver tanto amato la patria e la libertà.

f.b.

LA STORIA DI LUIGI E PIETRO PAGLIERO

LA STORIA DI LUIGI E PIETRO PAGLIERO

 

Luigi e Piero Pagliero

 

Luigi, detto Gino, era nato a San Maurizio Canavese il 22 dicembre 1917; suo fratello Pietro, chiamato familiarmente Piero, il 24 settembre 1919.
Erano figli di una famiglia numerosa, che gestiva l'attività della Trattoria delle Alpi.
Purtroppo Federico, il loro generoso papà - che era una persona simpatica, amante della musica e spesso allietava i clienti della trattoria con il suo mandolino napoletano - prestò parecchi soldi a un commerciante in difficoltà e firmò dei documenti che lo coinvolsero nel fallimento e portarono alla rovina della famiglia.
A causa di quell'atto di disinteressata solidarietà, mamma Giovanna fu costretta a vendere la Trattoria delle Alpi e, con quel poco che rimase, lei e il marito, facendo grandi sacrifici, decisero di cominciare a costruire una casa in zona Madonna della Neve. Proprio qui vicino.
Quegli anni furono molto duri per la famiglia Pagliero.
In quel periodo Piero e la sorella più piccola Emma frequentavano la scuola.
Il fratello più grande Oreste aveva cominciato il lungo servizio militare a Piacenza e, quindi, fu soprattutto il quattordicenne Gino, ormai in età da lavoro, che contribuì direttamente all'edificazione della casa. Infatti,era stato assunto come garzone dall'impresa che la costruiva e lavorava senza percepire paga, perché il suo stipendio veniva scalato periodicamente dal debito.
A peggiorare le cose contribuì la scomparsa prematura del padre, travolto dai dispiaceri a soli 53 anni.
La sua morte aveva lasciato un vuoto non facilmente colmabile; ma la tempra del gruppo era forte e alle nuove avversità seppe reagire.
Intanto i due fratelli crescevano e, come tutti i giovani della loro età, amavano ballare e giocare a pallone.
Tuttavia, data la situazione, i due ragazzi non avevano denaro da sprecare nel tempo libero. Era assai difficile incontrarli nei caffé, così come abbastanza rari erano gli altri svaghi che si concedevano.
Perciò fu un avvenimento straordinario per entrambi l'annuale festa dei coscritti, nel 1937, che preannunciò l'imminente chiamata alle armi.
Infatti, nel giugno 1938, Gino venne assegnato al Genio Ferrovieri.
Poi, in seguito alla scellerata politica imperialista del Fascismo, il 10 giugno 1940 l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania nazista.
Il Reggimento di Gino fu adibito a lavoro di ricostruzione di tratti ferroviari e ponti distrutti sul fronte italo-francese.
A partire dall'ottobre, quando Mussolini decise di aggredire la Grecia, Gino venne
trasferito sul fronte albanese-greco.
Causa l'asprezza della guerra e, soprattutto le penose condizioni di vita dei militari italiani mandati allo sbaraglio e stremati dalla fame, Gino, allevato come tutti i giovani di quel tempo, nella retorica militaristica fascista della Patria invincibile, cominciò a costruirsi un'idea diversa e più critica del regime mussoliniano.
Anche Piero, nel 1940, era partito militare assai malvolentieri, inquadrato nella Guardia alle Frontiera (G.a.F.), IX settore.
Dopo essere stato per un certo tempo a Rivoli, fu trasferito, dapprima a Lanzo e, infine, a Cuorgnè.
Piero, quindi risultò più fortunato del fratello, perché rimase sempre nelle vicinanze di casa e, almeno ciò, avrà reso più sopportabile la dolorosa situazione a mamma Giovanna, privata di tutti i figli, in quanto anche Oreste era stato richiamato.
In quel periodo, dunque, la situazione economica in casa Pagliero risultò decisamente drammatica.
Poi venne 1'8 settembre 1943.
Gli Alleati annunciarono la firma dell'Armistizio con l'Italia.
Il re Vittorio Emanuele III e il Governo abbandonarono Roma e si rifugiarono a Brindisi.
I reparti del Regio Esercito, lasciati senza ordini precisi, si sfaldarono.
L'ira dell'ex alleato nazista, che si sentiva tradito, non si fece attendere e iniziò il disarmo, la cattura e l'internamento dei militari italiani.
Piero, in quella data fatidica, si trovava al vicino Poligono Militare sulla Vauda e riuscì a rientrare abbastanza agevolmente e insieme a Oreste si rifugiò in montagna, nella zona di Cantoira, per sfuggire alla cattura.
Dopo alcuni giorni furono raggiunti da Gino, rientrato fortunosamente dal lontano Montenegro.
I fratelli Pagliero entrarono in contatto con esponenti delle prime bande partigiane e si schierarono contro i nazifascisti.
Gino, in particolare, prese accordi con i partigiani insediati nella zona tra Corio e Forno Rivara, il cui raggio d'azione gravitava nell'area di bassa valle ove si trovava anche San Maurizio Canavese.
Per la vasta pratica accumulata nel lungo periodo militare gli fu affidato l'importantissimo compito di provvedere al vettovagliamento del gruppo comandato da Claudio Borello, detto "Moro".
Il fratello Piero, invece, aveva assunto il nome di battaglia "Venere" e combatteva sui monti di Corio nelle fila della 18a Brigata Garibaldi.
Nel settembre 1944 questi partigiani si trovarono attaccati da ingentissime e armatissime truppe nazifasciste, che li costrinsero a ritirarsi attraverso i ghiacciai delle Alpi Graie, fino in Francia.
Quando Piero ritornò a casa aderì pure lui alla Brigata "Moro" e in quel periodo il Distaccamento di San Maurizio Canavese si rafforzò notevolmente, arrivando a contare ben 34 effettivi.
Inoltre il gruppo partigiano aveva in dotazione anche un proprio piccolo arsenale, sotterrato nel giardino di casa Pagliero, composto da due mitragliatrici americane diversi parabellum, mitra e moschetti.
Nel frattempo, il paese era stato occupato dal Battaglione paracadutisti "Nembo" del Reggimento "Folgore", forte di circa 200 uomini.
I parà fascisti stabilirono il Comando presso la Casa Littoria, invece il vicino edificio scolastico di via Bò diventò la loro caserma-prigione.
Una serie di fatalità e il concorso attivo di Angela Mangiarino, detta "Mirella" — nota collaborazionista e spia dei fascisti —, portarono all'arresto prima dei comandanti "Doro" ed "Emilio" e poi a quello dei Pagliero (nel cui giardino i fascisti, su precise indicazioni, trovarono le armi) e di quasi tutti gli altri componenti del Distaccamento.
Alle scuole Gino e Venere subirono ripetuti "interrogatori" a base di violenze e torture, tra cui la bruciatura dei piedi, ma resistettero stoicamente e non coinvolsero altri amici di lotta né rivelarono ai fascisti altre notizie sul Distaccamento e sui collegamenti con l'attività partigiana.
Anzi Gino, trovò la forza di incitare i compagni a resistere e a continuare la lotta per conquistare la libertà.
Gli estremi tentativi dei familiari e di Emma, in particolare, per liberarli, furono vani e alle 7,20 del 29 dicembre 1944 vennero fucilati nel prato antistante la Chiesa Vecchia di S. Maurizio Canavese.
Gino e Venere non poterono neppure scrivere un'ultima lettera alla loro povera mamma Giovanna e ai familiari.
Il 17 dicembre di 20 anni fa al sacrificio e alla memoria di Luigi e Pietro Pagliero é stata intitolata la scuola elementare di San Maurizio Canavese.
Presso "Le PERSON dij PARTIGIAN", in Via Lodovico Bò a San Maurizio Canavese é esposta la mostra “GINO” e “VENERE” - La comunità, la famiglia, la Resistenza, che racconta la loro storia.

 
Sintesi di Franco Brunetta